1.12.14

Lukas the Strange (Lukas nino)

John Torres
Filippine, 2013
82 minuti

In un villaggio delle Filippine, la popolazione è in frenesia per l'arrivo di una troupe cinematografica. Mentre ognuno dei paesani cerca di conquistarsi un ruolo nella realizzazione del film (tipico exploitation, una stramba miscela tra softcore e gangster movie) il tredicenne Lukas viene abbandonato dal padre subito dopo che una notte, costui le ha confessato di essere un tikbalang: una creatura folcloristica per metà uomo e metà cavallo.
Nel frattempo, l'attrice che doveva assumere il ruolo di protagonista nel film scompare dopo essersi immersa nelle acque del fiume che circonda il villaggio; una sorta di Lete (vedi qui), che offre l'oblio dei ricordi e lascia cicatrici fisiche in coloro che sono riusciti ad attraversarlo...
Che da Lukas nino* ci si aspettasse qualcosa di weird, o perlomeno di curioso lo si era fiutato a partire dai fotogrammi emersi in rete, ma in tutta onestà, non a livelli talmente entusiastici da rivelarsi come un film squisitamente naìf che sembra uscito direttamente dai nastri smagnetizzati delle videocassette che Lukas trova sulla sponda del fiume, o da un tubo catodico dei primi anni ottanta. Allo stato odierno, qualcosa di paradossalmente anticonvenzionale nella convenzionalità del periodo filmico (e dei generi ad esso inclusi) a cui sostanzialmente fa riferimento. Quasi un outsider all'interno della contemporanea new-wave filippina, accostabile (da quanto visionato finora, per territorialità) solamente al cinema più avanguardista del connazionale Raya Martin, per il suo intento di una riformulazione frammentaria dell'immagine e del linguaggio metacinematografico.


Sviluppandosi come un ibrido che fonde documentario e leggenda, il quarto lungometraggio di John Torres è puro cinema nostalgico, radicato nelle memorie dell'autore stesso, il quale scava con vivo desiderio (e notevole esperienza cinefila alle spalle) in una determinata cinematografia filippina del passato (quella a cavallo tra gli anni settanta e ottanta) che mira alle opere, per lo più sconosciute, di Ishmael Bernal. Volutamente girato su scarti di pellicola 35 millimetri da magazzino, Lukas the Strange restituisce egregiamente quella patina vintage di un'immagine stinta dal tempo, propria di un cinema perduto nei meandri della memoria. Tanto che l'idea originaria, infatti, prevedeva proprio la ricostruzione di un dimenticato film di Bernal (forse mai concluso, un pò come successe da noi con il Maldoror cavalloniano), a cui Torres è particolarmente legato fin dall'adolescenza: Scotch on the Rocks to Remember, Black Coffee to Forget (1974). Un progetto ambizioso, ma che per insufficenze finanziarie è poi stato messo in disparte, in quanto sostenuto solamente dalla Hubert Bals Fund di Rotterdam. La scelta è quindi ricaduta su un altro film di Bernal, My Husband, Your Lover (1974), dal quale Torres prende spunto per l'ambiente e la caratterizzazione di alcuni personaggi principali, compreso ovviamente quello di Lukas, nel quale riversa tutti i ricordi d'infanzia. La sua storia è narrata dalla voce fuori campo dell'amica Lorena, affascinata da questo strano ragazzino nel periodo della sua iniziazione; infatuato di un'attrice che svanirà nell'oblio dei ricordi, e che inquietato dalle rivelazioni del padre sulla sua possibile natura vive nel mistero di poter essere anche lui un tikbalang. Si mette quindi alla prova, Lukas, palesando tutta la propria energia da tredicenne di fronte alla cinepresa, giocando a fantomatiche guerre con i suoi coetanei, cercando di capire se possa aver ereditato probabili poteri da supereroe. Tutto il suo percorso è un fluire di misteri; a cominciare dalla realizzazione di un film che sembra gradualmente perdere le coordinate, fino ai corpi che scompaiono nelle acque di quel fiume (come in gran parte della cinematografia filippina, c'è un riferimento - qui dichiarato - alla dittatura di Marcos), e che se per una qualche ragione non scompaiono, ne mostrano comunque i segni sulla loro epidermide. E Lukas alla fine corre, come può farlo un ragazzino della sua età che attraversa spazi boschivi e distese popolate da animali che lo accompagnano continuamente (quasi ne sentissero la probabile genealogia) fino al ricongiungimento con quell'uomo chiamato padre, che nel frattempo, sembra aver trovato la propria dimensione naturale.

*Il titolo originale, rafforza oltremodo l'alone di mistero proprio per la mancanza di quella tilde sulla n, voluta dallo stesso regista con lo scopo di tradurre il significato in tagalog, per il quale nino suona come "chi è".

2 commenti:

  1. Ciao!Sai dove posso trovarlo?Sembra sia da vedere assolutamente, anche da come ne hai scritto.

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    1. Ciao, lo trovi sul sito del regista, John Torres.

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